Mondo sul baratro dell'iperconsumo.
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Un verbo affratella e divide il mondo: consumare. Il verbo ha un quarto degli abitanti del pianeta per apostoli e già altri sgomitano per abbracciare la nuova fede. La maggioranza però, con nemmeno due dollari per campare la vita di ogni giorno, può solo guardare il banchetto dei ricchi. I numeri spaccano la terra: 1,7 miliardi di presunti divoratori felici e 2,8 di affamati cronici; gli altri sono in marcia e arriveranno presto alla meta. Ma la rotta è sbagliata. L'equilibrio naturale non può sopportare questo peso. Un mondo diverso non "è" solo possibile: "deve" esserlo. E' nata la global consumer class. E nel 2000 ha speso 20 mila miliardi di dollari, il quadruplo del 1960. ma la partita è truccata, perché il beato 12 per cento che vive in Nord America ed Europa Occidentale vale solo il 60 per cento del bilancio, mentre il terzo abbondante della popolazione sotto i cieli dell'Asia meridionale e dell'Africa sub-sahariana pesa, come cliente, solo per il 3,2. I numeri rivelano e il Worldwatch sottolinea: "Crescono le disparità". E' vero che nel 2002 le linee di montaggio hanno sfornato 41 milioni di veicoli; che la flotta mondiale a quattro ruote è ormai a 531 milioni e che 35 miliardi di dollari se ne sono andati in acquisti d'acqua imbottigliata. Ma sono ancora più di un miliardo gli assetati di semplice acqua potabile; e quasi metà della popolazione globale non gode dei servizi minimi per la salute. Il "Rapporto 2004" è una diagnosi. E' un'accusa che sfiora la profezia. Se 18 miliardi di dollari sono spalmati in cosmetici ne basterebbero 12 in più ogni anno per garantire una sana maternità alle donne del pianeta; e se nelle ciotole di cani, gatti & canarini non finissero 17 miliardi di dollari si potrebbero, con 19, riempire quelle della moltitudine "da 2 dollari".
Il futuro potrebbe vedere il collasso del pianeta. Cina, India e altri Paesi sono già molto avanti sul sentiero dello sviluppo, oramai affiliati alla global consumer class. Un numero crescente di persone avrà elettricità, auto, frigoriferi. Si aggiungeranno alla parte del mondo ricca che divora "25 volte più energia di tutti gli altri". Energia che serve anche a produrre carne per l'Occidente (spesso "condita" con ormoni e antibiotici) e generi alimentari frutto di lunghi processi industriali; il cui costo è elevatissimo: inquinamento idrico, perdita di lavoro per le popolazioni contadine, aumento della resistenza ai farmaci, obesità dilagante (65 per cento negli Stati Uniti e con costi sanitari correlati a livelli insostenibili. "Meglio abbandonare - sostiene Danielle Nieremberg - il conto maniacale delle calorie e pensare una buona volta a come, dove e con quali conseguenze per l'umanità e l'ecosistema ci stiamo nutrendo". Ovvero, secondo Janet Sewin: "Non possiamo sperare che il pianeta ci consenta di vivere tutti come americani ed europei".
Il verbo alternativo è "ripensare". Imboccare, come in Norvegia e in Giappone, la via di un uso più efficiente dell'energia; spingere i governi a sostenere metodi di produzione di minore impatto, modificare abitudini alimentari provatamente malsane. Ma anche chiedere tassazioni che riflettano il "peso" ecologico dei prodotti e fare pressioni sulle industrie perché gli oggetti abbiano vite più lunghe oltre che "aggiornamenti" possibili e più facili: solo il 3 per cento dei computer in circolazione viene riciclato, il resto finisce nelle discariche asiatiche, a inquinare le falde acquifere. L'aumento dei consumi è stato d'aiuto nel creare lavoro e nel sostenere bisogni primari. Ma nel nuovo secolo un tale appetito mina il sistema naturale da cui dipendiamo e rende la vita più penosa ai poveri. La sfida è mobilitare cittadini, industria e governi perché il "fuoco" si sposti dall'accumulo infinito di beni alla rivalutazione della qualità della vita. Per tutti.
Inquinato, obeso e stressato, il mondo benestante è comunque tutt'altro che sereno. Una ricerca del Word Values Survey spiega che dal 1995 i redditi di 65 nazioni sono saliti a 13 mila dollari annui pro-capite ma la "linea della felicità" (salute, sicurezza, tempo libero, ruolo sociale) quasi non s'è mossa. "L'uomo ragionevole adegua sé stesso al mondo, l'irragionevole persiste nel tentativo di adeguare il mondo a sé stesso. Perciò - provocava George Bernard Shaw - ogni progresso dipende dall'uomo irragionevole". A lungo andare l'insostenibilità sarà evidente, e le scelte individuali e collettive diventeranno impellenti: "Dovremo imparare a controllare i consumi. Smetterla di permettere loro di controllarci".

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